C’è una contraddizione di fondo, nel trattamento dell’anatocismo bancario secondo le leggi dello Stato italiano: ed è questa contraddizione che ha causato, in un certo senso, la complessa questione giuridica che solamente in anni recenti, con la sentenza definitiva della Cassazione nel 2004, si è risolta, generando peraltro le numerosissime e legittime ripetizioni di capitale da parte delle aziende vittima di tale pratica.
Secondo l’articolo 1823 del codice civile, infatti, l’anatocismo è inequivocabilmente vietato; ma allo stesso tempo, per uso e giurisprudenza, tale pratica è stata avallata per anni e anni, e quindi la sua applicazione era anche presentabile come legittima da parte delle banche – tutte – che calcolavano interessi sugli interessi passivi a cadenza trimestrale.
Se cerchiamo l’inizio del dibattito su tale questione, tuttavia, possiamo trovarla nel 1999. In tale anno, infatti, un decreto Legislativo – il 342/99, appunto – stabilì che fosse obbligatorio fissare i criteri di maturazione degli interessi passivi e attivi con la stessa periodicità, in contraddizione con l’abituale uso delle banche di calcolarli su base trimestrale per i passivi, ma solo annuale per gli attivi. Il decreto fu poi recepito, l’anno successivo, con una delibera ufficiale del CICR; a restare sospesa però, e anzi, di fatto legittimata dal decreto con una effettiva sanatoria, era la situazione pregressa, che veniva fatta salva per tutti i contratti già in essere, legittimandone le clausole di capitalizzazione trimestrale. Una norma quantomeno sospetta, e che infatti già alla fine del 2000 fu dichiarata nulla, in quanto incostituzionale, dalla Corte Costituzionale.
La tappa successiva è proprio, per concludere, il fatidico 2004. La sentenza chiave è ancora della Cassazione, ed è la 21095: stabilisce in maniera definitiva che tutti gli addebiti in regime di anatocismo fatti fino a quel momento non costituivano effettivamente un caso di “uso consueto e normativo” ed erano dunque totalmente illegittimi e quindi ripetibili. Il ragionamento applicato fu limpido: mentre infatti è tratto fondamentale dell’uso normativo che le parti accettino il comportamento in questione nella convinzione che sia conforme alle leggi, in questo caso l’accettazione dei comportamenti anatocistici delle banche da parte dei correntisti era dovuta al fatto che costituiva parte essenziale della possibilità di disporre di un conto corrente: l’abitudine non poteva quindi cancellare l’illegittimità della pratica. Ancora nel 2010 il decreto Miilleproporghe sembrò voler ribaltare di fatto questa decisione, ricalcolando le prescrizioni in senso favorevole agli istituti bancari, ma la Corte Costituzionale deliberò che anche questa norma era palesemente incostituzionale e quindi illegittima, aprendo definitivamente la via alle ripetizioni di capitale dalle banche da parte di tutti i clienti che sono stati vittima dell’anatocismo prima del 2000.